Ogni anno migliaia di donne rischiano di perdere la propria capacità riproduttiva per effetto di patologie oncologiche, come il cancro della mammella o dell’utero, o per malattie di carattere ginecologico come l’endometriosi severa.
In questi casi, è possibile fare ricorso a tecniche – come la crioconservazione e il congelamento della corteccia ovarica – che consentono di preservare la possibilità di rimanere incinta anche dopo aver superato trattamenti farmacologici e chirurgie importanti.
Infatti, se fino a un decennio fa un tumore rischiava di “cancellare” qualsiasi speranza di genitorialità, a causa dell’impatto negativo della chemioterapia e radioterapia sulla fertilità, oggi una paziente con diagnosi oncologica può sperare di concludere una gravidanza grazie ai risultati raggiunti dalle moderne tecniche di riproduzione assistita. Una sfida accolta da IVI che dal 2007 ha promosso un programma gratuito di preservazione della fertilità dopo eventi di carattere oncologico intitolato “Madre dopo il cancro” o “Padre dopo il cancro” in Spagna.
L’incidenza del tumore sulla fertilità
Secondo una recente ricerca dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica, nel nostro paese ogni giorno sono accertati almeno 30 nuovi casi di tumore in persone con un’età inferiore ai 40 anni. Uno dei problemi più importanti, in relazione allo sviluppo di un carcinoma, consiste nella possibile comparsa di un’infertilità secondaria correlata all’uso di trattamenti medici e farmaceutici idonei a contrastare la malattia, che possono ad esempio portare ad una riduzione del numero dei follicoli o interferire sul corretto funzionamento delle ovaie, delle tube e dell’utero. Un elemento confermato anche da uno studio norvegese che ha confrontato oltre 6.000 pazienti sottoposti a trattamenti antitumorali rispetto ad un altro campione di persone senza pregresse vicende di carattere oncologico, attestando come il tasso riproduttivo post-tumore sia sensibilmente più basso rispetto alla media generale.
Uno studio statunitense, invece, ha messo in rilievo come le donne che hanno subito in passato una radioterapia o una chemioterapia hanno una percentuale di successo più ridotta nel caso in cui si sottopongano a trattamenti di fecondazione assistita. Un problema che non riguarda soltanto la donna: infatti i trattamenti antitumorali possono produrre un’infertilità temporanea o permanente anche nell’uomo e, inoltre, la perdita della capacità riproduttiva – o una diminuzione della stessa – può essere correlata anche alla malattia in maniera diretta, come nel caso di neoplasie del testicolo o di una sopravvenuta insufficienza ormonale.
La preservazione della fertilità nei pazienti oncologici
In particolare, il tumore e le terapie utilizzate per combatterlo possono compromettere la normale funzionalità delle ovaie e, di conseguenza, la fertilità. La radioterapia e la chemioterapia possono portare a un precoce esaurimento ovarico, ad una menopausa precoce a causa della perdita del patrimonio follicolare e a un danno vascolare ovarico.
Per queste ragioni, nel caso di diagnosi di tumore (o anche in assenza di queste qualora si voglia rinviare la gravidanza per motivi di carattere personale o lavorativo) esistono apposite tecniche di preservazione della fertilità. In questo caso è necessario una corretta informazione da parte dell’oncologo e un intervento tempestivo che consenta al tempo stesso di portare a termine queste procedure e non ritardare l’inizio della terapia oncologica.
Da questo punto di vista, la vitrificazione degli ovociti è una delle nuove frontiere della preservazione della fertilità. Questa tecnica di crioconservazione si rivela più efficace rispetto a quelle tradizionali di congelamento perché impedisce la formazione di cristalli di ghiaccio che possono danneggiare gli ovociti, consentendo una sopravvivenza degli ovuli pari al 97%.
In questo campo, le nostre cliniche sono all’avanguardia nel mondo anche grazie all’uso di una tecnica come il “Cryotop”.
Il ricorso alla vitrificazione degli ovociti in caso di pazienti oncologiche consentirà di rinviare la gravidanza fino al momento del superamento della malattia, senza alcun effetto negativo in termini di riduzione della capacità riproduttiva.
Ovviamente, per accedere a questa procedura occorre analizzare alcuni fattori essenziali come l’età, la funzionalità ovarica, la riserva follicolare e il tempo a disposizione prima dell’inizio delle terapie tumorali. Inoltre, è altresì essenziale l’autorizzazione dell’oncologo.
La crioconservazione può, in particolare, essere proposta a donne in età fertile che siano nelle condizioni di ritardare la terapia oncologia di circa 20 giorni.
Un’altra tecnica finalizzata alla preservazione della fertilità consiste nel congelamento della corteccia ovarica, che verrà trapiantata dopo il tumore e che potrebbe anche permettere gravidanze spontanee una volta recuperata appieno la funzionalità ovarica della paziente. Un’altra procedura all’avanguardia è la trasposizione delle ovaie (ooforopessia), che consiste in una procedura chirurgica finalizzata all’allontanamento delle ovaie dall’area di irraggiamento della radioterapia, per evitare i danni che quest’ultima può produrre alle gonadi. In questo caso, qualora le modalità terapeutiche consentano di realizzarla, le percentuali di successo oscillano fra l’83% e l’88%. Poiché le ovaie possono spostarsi nel corso del tempo, è opportuno procedere alla trasposizione ovarica pochi giorni prima dell’irradiazione, in modo che le probabilità di un riposizionamento nella zona interessata dalla radioterapia siano basse.
I risultati raggiunti da IVI
Le nostre cliniche in Spagna, dal 2007, hanno deciso di ofrire gratuitamente alle pazienti oncologiche il servizio di crioconservazione degli ovuli.
Grazie a IVI e al progresso scientifico raggiunto nel campo della preservazione della fertilità, sono più di 900 le donne che hanno deciso, senza alcuna spesa, di optare per la procedura di vitrificazione. Il servizio, inoltre, non comprende alcun vincolo di utilizzo degli ovociti prelevati dopo il superamento della malattia.
Nel 2013 sono nati i primi bambini partoriti da madri che, dopo il tumore, hanno utilizzato gli ovociti congelati per dare corso ad una gravidanza e l’anno successivo i bambini nati in seguito a questa procedura sono stati otto Le nostre statistiche permettono di affermare che a ricorrere a questo trattamento siano soprattutto le donne affette da un tumore mammario, che rappresenta la prima patologia oncologica femminile, ma che a livello europeo registra livelli di sopravvivenza che ormai si attestano intorno al 70%.
L’obiettivo è quello di estendere questo tipo di servizio gratuito anche in Italia, in modo tale da fornire un adeguato aiuto psicologico alle pazienti che si preparano ad affrontare la malattia, ma non vogliono rinunciare al proprio progetto di maternità.
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