- La presenza di recettori del virus nell’ovaio ha reso necessario analizzare se il SARS-CoV-2 può influenzare la fertilità femminile.
- Non è stata riscontrata alcuna diminuzione dei livelli dell’ormone anti-mülleriano (AMH) nelle donne che, dopo aver superato la malattia, hanno partecipato allo studio.
Roma, 28 aprile 2021
Nonostante l’impatto travolgente di questa pandemia e le sue proporzioni globali, le informazioni circa gli effetti del COVID-19 sulla fertilità sono ancora scarse. Tuttavia, con la ripresa delle attività dei centri di Procreazione Medicalmente Assistita, è diventato prioritario studiare le condizioni dell’apparato riproduttivo nelle donne che hanno contratto il Coronavirus. A tal proposito, e sulla base della presenza di recettori del virus SARS-CoV-2 nell’ovaio, la domanda è d’obbligo: l’infezione da COVID-19 può compromettere la riserva ovarica femminile?
“Nel periodo compreso tra maggio e giugno 2020 abbiamo invitato 46 pazienti delle nostre Cliniche IVI in Spagna, che avevano contratto e superato il Covid-19, a partecipare a questo studio. A tutte, è stata ripetuta l’analisi dell’ormone anti-mülleriano (AMH) che è stata posta in confronto con lo stesso esame effettuato non più di sei mesi prima. I risultati della ricerca sono stati molto positivi, dimostrando che l’infezione non ha influito minimamente sullo stato della riserva ovarica delle pazienti. Pertanto, è legittimo ipotizzare che le possibilità di successo di un trattamento di riproduzione assistita rimangano inalterate”, ha affermato il Dottor Antonio Requena, Direttore Medico di IVI.
Le donne che hanno partecipato allo studio sono state divise in due gruppi, in base ai loro precedenti livelli di AMH: pazienti con bassa risposta ovarica (16 pazienti), con un’età media di 38,6 anni; e pazienti con risposta ovarica medio/alta (30 pazienti), con un’età media di 34,7 anni. In nessuno dei due gruppi è stata riscontrata una diminuzione della riserva ovarica a seguito del contagio. Questo dato è molto incoraggiante soprattutto per le pazienti che presentavano una ridotta riserva ovarica di partenza.
“Anche se i risultati offrono grandi speranze, in termini di previsioni riproduttive, per le donne che sono state colpite dal COVID-19, sono necessari ulteriori approfondimenti per trarre conclusioni definitive. In particolare, sarà essenziale aumentare la dimensione del campione per verificare che ci sia coerenza con i risultati emersi finora”, ha concluso il Dott. Pellicer, Presidente e Fondatore di IVI.
La Dott.ssa Daniela Galliano, medico chirurgo, specializzata in Ginecologia, Ostetricia e Medicina della Riproduzione, Responsabile del Centro PMA di IVI Roma, commenta questa ricerca anche alla luce di un ricorso sempre maggiore alle tecniche di fecondazione assistita. “Da quando abbiamo aperto la Clinica IVI di III livello a Roma, a dicembre, le richieste sono aumentate, anche perché il COVID-19 ha riacceso il desiderio di famiglia. Il risultato di questa ricerca è fondamentale per dare speranza anche a quelle coppie in cui la partner femminile è stata colpita dal virus.”
La Dott.ssa ha poi continuato: “Inoltre, restando in tema di riserva ovarica, voglio cogliere l’occasione per ricordare che questa è limitata e diminuisce con l’avanzare dell’età, così come nel tempo diminuisce anche la qualità degli ovociti, ma si può ricorrere alla tecnica della preservazione della fertilità per congelare i propri ovuli e mantenere inalterata nel tempo la propria capacità riproduttiva. Purtroppo, in Italia il social freezing è ancora una pratica di cui si parla poco e che sarebbe importante promuovere, per garantire oggi alle giovani donne la possibilità di pensare con maggiore serenità a una gravidanza, un domani”.