Solo dieci anni fa non c’era alcuna speranza di superare il tumore. Nella maggior parte dei casi, la malattia cancellava qualsiasi possibilità di essere genitori utilizzando i propri gameti, a causa dell’effetto di chemio e radioterapia sulla fertilità. Per fortuna i progressi scientifici degli ultimi anni hanno permesso qualcosa di miracoloso come il fatto che un paziente con diagnosi oncologica possa diventare genitore, una volta sconfitta la malattia, grazie a trattamenti di riproduzione assistita.
Proprio per questo IVI ha avviato nel 2007 il suo programma gratuito di Preservazione della Fertilità per motivi oncologici Padre dopo il cancro e Madre dopo il cancro, nell’ambito delle sue attività di CSR. Da allora sono 14 i bambini nati dopo che le loro madri hanno vinto la battaglia contro il tumore. 11 di loro nati da madri con tumore al seno, il più frequente tra le pazienti di IVI. A loro si aggiungeranno i due neonati che nasceranno prima della fine dell’anno, portando quindi a 16 i sogni realizzati sotto forma di vita, desideri che nella maggior parte dei casi danno ai pazienti la forza di affrontare la propria malattia con la speranza di diventare un giorno genitori.
Bambini nati grazie al programma di preservazione oncologica gratuita offerto dalle cliniche IVI
“Fino ad oggi abbiamo preservato la fertilità di circa 800 pazienti oncologiche nelle cliniche IVI in Spagna, il 65% delle quali con diagnosi di tumore al seno. Si tratta del tumore più frequente nelle donne, dal momento che il rischio di soffrire di questa malattia riguarda 1 donna su 8. Allo stesso tempo, oggi disponiamo di molta informazione e mezzi per poter diagnosticare il tumore al seno precocemente in modo da poter intervenire immediatamente, cosa che ha permesso di portare i livelli di sopravvivenza globale a 5 anni dalla diagnosi all’87% secondo i dati dell’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) relativi al 2015. Questa situazione aiuta le pazienti oncologiche a guardare avanti con ottimismo, coscienti delle proprie possibilità non solo di cura ma anche di diventare madri” commenta Daniela Galliano, direttrice del Centro IVI di Roma.
Oltre la metà delle pazienti che hanno vitrificato i propri ovuli per motivi oncologici nei centri IVI lo hanno fatto prima dei 35 anni e il 30% di loro oggi sono madri dopo aver superato la malattia.
Valentina, il finale felice della battaglia di Silvia
È nata lo scorso giugno dopo che sua madre, Silvia, aveva sconfitto un tumore al seno che le era stato diagnosticato nell’ottobre del 2009, a 37 anni.
“Il giorno stesso in cui mi dettero i risultati delle analisi l’oncologo mi parlò della possibilità di preservare la mia fertilità, un’opzione che mi diede una piccola speranza, una ragione in più per lottare con forza per superare la malattia che mi ha rubato 6 anni della mia vita”commenta Silvia.
A maggio del 2015, ricevuta la diagnosi di remissione completa, Silvia si è affidata alle cure della dottoressa Silvia González, ginecologa presso il Centro IVI di Barcellona, per cominciare un trattamento di riproduzione assistita con l’obiettivo di diventare madre grazie all’utilizzo dei suoi ovuli, fecondati prima della chemioterapia.
“Dopo la seconda FIV (Fecondazione in vitro) sono rimasta incinta e nove mesi dopo è arrivata Valentina, la mia ragione di vita” aggiunge Silvia che sottolinea anche il ruolo di suo marito e della famiglia, il supporto dei quali è stato fondamentale in questo lungo percorso.
Come si preserva la fertilità
“Quando un paziente riceve una diagnosi di tumore e viene da IVI per richiedere un trattamento di preservazione della fertilità, si analizzano le opzioni migliori per conservare i suoi gameti senza che questo influenzi l’evoluzione della malattia. Per fare questo bisogna tenere a mente due premesse: la prima è che l’oncologo parli al paziente di questa possibilità di preservazione gratuita e la seconda è la rapidità con cui è necessario agire per non ritardare l’inizio della terapia oncologica. In ultima istanza sarà il ginecologo, in collaborazione con l’oncologo a decidere la tecnica più adatta a ciascun caso” spiega la dottoressa Galliano.
Nel caso degli uomini è semplice. Un campione di sperma basterà per conservare i gameti maschili in caso ci sia necessità di utilizzarli in futuro.
Nel caso delle donne due sono le tecniche più usate:
La vitrificazione di ovociti che consiste nella crioconservazione – immersione diretta in nitrogeno liquido a una temperatura di -196°C – degli ovuli maturi ottenuti grazie alla stimolazione ovarica al fine di usarli una volta superata la malattia con lo stesso livello qualitativo del momento della conservazione.
E il congelamento della corteccia ovarica per trapiantarla dopo il tumore, che permetterebbe anche gravidanze spontanee una volta recuperata la funzione ovarica della paziente. Questa tecnica si applica a quei casi che richiedono un inizio immediato della chemioterapia – senza che ci sia tempo per la stimolazione ovarica – , in donne per le quali la stimolazione ovarica non sia raccomandata o nelle bambini in età prepuberale.